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Per prima cosa si estraeva il cervello, organo considerato inutile che veniva gettato via, e tutti gli organi interni che invece venivano conservati nei vasi. Il corpo così svuotato veniva quindi adagiato in una vasca e ricoperto con sabbia ricca di salnitro, dove restava per settanta giorni, e in seguito profumato con essenze di palma e ginepro per essere poi lasciato all’aria ad essiccarsi perfettamente. Il cadavere ora era pronto per l’ultimo procedimento: la cavità addominale veniva riempita con bende di lino e con vegetali triturati, mirra, ginepro, cassia ed altri aromi. Tutte le cavità venivano chiuse con batuffoli di lino, comprese le cavità oculari sulle quali venivano dipinte le iridi; il viso veniva perfettamente truccato: le labbra rosse di betel, kajal attorno agli occhi e unghie dorate o smaltate di rosso. È grazie a queste procedure che le mummie dei faraoni egiziani si sono conservate e sono giunte fino a noi, in condizioni pressoché perfette. Perfette fuori, vuote dentro. Dei gusci vuoti, ma sufficienti a tramandare un mito.

Una tecnica analoga si è applicata, durante la storia della civiltà e specie nella società di massa del XX secolo, per creare idoli e miti, modelli per milioni di persone. Ma modelli, si badi bene, puramente estetici ed evocativi, bidimensionali come la stampa su una t-shirt o una spilletta. La distillazione da personaggio a mito avviene come per la preparazione di una mummia. Prendiamo uno scienziato “noto” a tutti: Albert Einstein. Chi più di lui aveva cervello, spessore, potenza intellettuale e razionale? Via tutto! Via subito il cervello, via il cuore, via il pensiero innovativo, via qualunque riferimento alla sua vita complessa e difficile, alla sua Fisica. Lasciamo il viso, possibilmente in qualche espressione buffa e simpatica, lasciamo alcune citazioni possibilmente false ma utilizzabili in vari contesti, come la famosa “Dio non gioca a dadi” o quella che prevede la fine dell’umanità in seguito all’estinzione delle api (entrambe false), lasciamo che la parola “relatività” sia associata al nome, a proposito o a sproposito, ed ecco creata la mummia eterna, immarcescibile, l’icona Einstein per il consumo di massa.

Andy Warhol, si sa, è stato maestro nella trasformazione di personaggi in icone. Grazie alle tecniche della stampa serigrafica lavora a decine di dipinti nei quali un volto sorridente viene riprodotto mutandone semplicemente i colori, d’altronde lo stesso Warhol amava farsi sostituire da sosia perché la sua immagine potesse essere dappertutto.. In questo modo il personaggio di riferimento (famosa la sua Marilyn) scompare e resta solo la sua immagine. La stessa espressività scompare, e con essa tutto lo spessore del ritratto. Ecco le mummie del ‘900, che si aggirano ancora perfettamente integre nella nostra società dell’immagine. (07/08/15 P.P.  Alberigi)


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