I servizi postali nazionali esistono da qualche secolo: si mette il materiale da spedire in una busta o in un plico, ci si scrive sopra un indirizzo, si affranca e si imbuca o si consegna allo sportello. Al resto pensano gli ufficiali postali. È un sistema basato sulla fiducia: sappiamo che dal ritiro in avanti la posta è in buone mani. I casi di smarrimento sono rari e spesso dipendono da cause oggettive: indirizzi errati, destinatari trasferiti, furti nelle cassette condominiali. Insomma, da che mondo è mondo, la posta arriva.
Chi stampa libri deve usare il servizio postale. Noi come tutti, lo facciamo da anni. Ma recentemente abbiamo avuto problemi. Abbiamo spedito tutti insieme una cinquantina di libri ordinati e pagati in anticipo da altrettanti acquirenti, e l’intera spedizione si è persa. Per tre settimane niente è arrivato a destinazione, poi abbiamo avuto notizia di uno-due plichi che sono stati consegnati. Tutti gli altri, spariti.
Abbiamo chiesto notizie all’ufficio postale. Ci hanno risposto con arroganza, come se fosse normale che una lettera, se non è raccomandata e/o assicurata, si perda nel nulla. Ma noi abbiamo pagato per un servizio offerto e previsto, per il quale viene dichiarato un obiettivo di qualità per la consegna:
- entro 5 giorni lavorativi successivi alla data di postalizzazione (J+5) per l’85% degli invii;
- entro 7 giorni lavorativi successivi alla data di postalizzazione (J+7) per il 99% degli invii.
Ci hanno detto di sporgere reclamo, senza una parola di scusa e senza un tentativo di spiegazione. Anzi, il direttore dell’ufficio ci ha detto “dovreste vedere cosa c’è nei centri di smistamento…” come se fosse sorprendente che nonostante i centri di smistamento qualche lettera arriva.
Per quanto riguarda gli acquirenti in attesa dei pacchetti, bisogna dire che la maggior parte hanno dimostrato pazienza, fiducia e comprensione. Altri hanno cominciato a minacciare e a insultare, ma fa parte della natura umana: loro i soldi li hanno versati “buoni”, in cambio hanno ottenuto un servizio “non buono”. Semplice.
Aggiungiamo che questa particolare operazione era nata come un benvenuto per un gruppo di lettori appassionati a un settore di nicchia. Il prezzo di copertina, detratto il costo della stampa e della spedizione e le tasse ci assicurava un piccolo margine, non sufficiente per coprire le spese dell’elaborazione grafica e dell’ufficio, ma l’intento era proprio quello di creare una base di fiducia. Ora abbiamo fatto stampare altre copie, le spediremo gratuitamente con posta raccomandata a tutti gli acquirenti, con tante scuse. Ovviamente ci perderemo qualcosa, ma speriamo di non perdere troppi lettori.
Il punto adesso è: possiamo fidarci ancora delle Poste Italiane? Possiamo permetterci di offrire la spedizione gratuita come fanno i grossi sistemi di vendita online o dobbiamo rassegnarci? Ci hanno consigliato di contattare i corrieri privati, e così abbiamo fatto. Offrono condizioni che diventano vantaggiose se si parla di spedizioni di “pedane” da mille chili in su. Cinquanta copie di un libro non si prendono in considerazione. Se non fai parte del mercato globale sei destinato a soccombere? Ma se noi chiudiamo questo servizio, chi fornirà a cinquanta-cento appassionati italiani la ristampa di un libro, prezioso per loro ma di nessun interesse per tutti gli altri?
Adesso cercheremo una soluzione. Intanto le Poste prendono soldi per un servizio che non sono in grado di garantire, continuano a imperversare con la loro pubblicità dei servizi bancari e preferiscono mettersi in gara per acquistare l’Alitalia anziché rinnovare le stampanti ai poveri impiegati degli sportelli e i macchinari dei centri di smistamento.
E noi ci mettiamo la faccia.