La scrittrice Alba de Céspedes collaborò per molti anni con Epoca. Curava una rubrica di posta. Ovviamente lo faceva in modo originale, con grande eleganza ma anche con determinazione, insomma in modo certamente non conformista. A proposito di conformisti, ecco una lettera del ’58 e la sua risposta (notare la citazione di Dostojewski):
Nella Sua rubrica Lei parla con ironia dei «conformisti», così definendo – mi pare di comprendere – coloro che si attengono a norme di vita tradizionali che vorrebbero trasmettere intatte ai loro figli come le hanno ricevute dai loro genitori e questi dai propri. A queste persone, che Lei sembra apprezzare poco, va invece la mia piena solidarietà. Sono convinto che se il mondo fosse in mani loro sarebbe governato saggiamente e non andrebbe, come purtroppo mi pare stia velocemente andando, allo sfacelo. (ABBONATO, NAPOLI)
I conformisti non possono governare saggiamente, come crede questo lettore, perché, vivendo del passato, non comprendono il presente né intuiscono il futuro com’è necessario che facciano quelli cui è affidato il destino di un popolo. Il rispetto per le tradizioni che ci sono state trasmesse, e delle quali sentiamo la responsabilità, si dimostra nutrendo le stesse preoccupazioni morali dei nostri genitori, ma risolvendole nei modi e con i sistemi propri del nostro tempo. Ed è soprattutto all’insegnamento del passato che verremmo meno, seguendo delle norme superate.
La più sorprendente capacità dei conformisti è, infatti, quella di credere che oggi soltanto si compiano profondi mutamenti sociali e del costume, ignorando quelli avvenuti in passato e che si sono dimostrati costruttivi anche se, allora, avevano apparenza di distruzione. Se il mondo fosse stato retto da coloro «che si attengono a norme di vita tradizionali che vorrebbero trasmettere intatte ai loro figli come le hanno ricevute dai loro genitori e questi dai propri», oggi un uomo potrebbe ancora includere nel suo patrimonio il valore rappresentato dal numero dei propri schiavi, come potrebbe ancora costringere la propria figlia a prendere il velo od a sposarsi con un uomo che le è odioso. Per opera di costoro non sarebbe certo avvenuta, in Francia, la rivoluzione del 1789, che pure ha affermato i diritti dell’uomo, né, intendendo continuare vivere come i loro padri, essi avrebbero approvato la rivoluzione morale e sociale operata dal Cristo; anzi, si sarebbero rassicurati vedendolo crocifisso. I conformisti trovano comodissimo godere i privilegi che le generazioni precedenti ci hanno assicurato ma si rifiutano di compiere quei sacrifici, quegli adattamenti a difficili condizioni nuove, che i progressisti del passato hanno compiuto in loro favore. Si accontentano di criticare ogni sistema nuovo (a meno che ne traggano un vantaggio pratico immediato) ostentando di confidare soltanto in quelli già noti, senza riesaminarne il valore assoluto né l’attualità. «Possiedono una enorme quantità di idee bell’e pronte, come ceppi per l’inverno» dice Dostojewski «e contano seriamente di poter vivere su di esse per mille anni». Non si rendono conto che bisogna sempre preparare nuovi ceppi, tagliandoli noi stessi faticosamente, e che questi, essendo ancora freschi, sul principio non possono dare calore.
Tuttavia, grazie al loro cimitero di idee, essi riescono persino a sembrare intelligenti, come sembrano saggi coloro che in ogni occasione enunciano proverbi; e ciò fa si che, generalmente, la loro miopia, la loro boriosa vacuità, la loro indifferenza verso l’evoluzione umana, invece di essere senz’altro considerata una dannosa manchevolezza, venga rispettata come una rassicurante virtù.
(A. de Céspedes)