nonègentilezza_Ci fu un periodo, diciamo a cavallo tra i “figli dei fiori” e gli “indiani metropolitani”, e cioè fino alla fine degli anni ’70, in cui ci si alimentava di utopie sociali più o meno anarcoidi. Uno dei capisaldi fu quello della “comune”, comunità sociale basata sulla condivisione spontanea di competenze, servizi, luoghi eccetera. Per non parlare dell’amore libero. L’idea, come sappiamo, attecchì e funzionò in alcuni Paesi civili, come la mitica California o l’Olanda, molto meno o addirittura niente nel sud Europa. Gli ostacoli sono principalmente culturali: non eravamo ancora pronti per superare la famiglia, o meglio il familismo, che ci costringe a vedere il prossimo come possibile concorrente, o peggio nemico, a meno che non sia un parente stretto.

La mia posizione di allora era di grande apertura ed entusiasmo verso queste sperimentazioni, a tutti i livelli. Mi pareva sempre una buona idea, anche semplicemente quella di tenere un garage condiviso tra tanti amici, in cui tutti potessero ripararsi la bici o il motorino e farsi aiutare in caso di bisogno, in cambio dei propri attrezzi e della propria disponibilità. Purché ciascuno facesse la sua parte con lo spirito giusto: rimettere a posto gli attrezzi, pulire dove si era sporcato, non portarsi via flaconi d’olio o pezzi di ricambio, pagare la propria quota di spese. Bastava semplicemente rispettare delle regole non scritte. È inutile dire che non funzionò quella del garage, e non funzionarono altri esperimenti simili. Questi fallimenti non hanno certamente influito positivamente sulla mia stima nei confronti della natura umana in generale.

Poi arrivò Internet a risvegliare gli entusiasmi: cosa c’è di meglio, per un ex anarchico amante delle utopie, che un ambiente virtuale grande come il mondo nel quale condividere liberamente e responsabilmente le proprie risorse: idee, documenti, musica, sapere, insomma tutto?

È per questo che, avendo un hobby, o meglio una grande passione che coltivo dall’adolescenza, pensai subito di creare un sito nel quale mettere in condivisione la mia esperienza e competenza, il bagaglio di documentazione raccolto in una vita, come semplice e spontanea risposta a tutto il materiale nuovo e gratuito che potevo attingere dalla rete. Anche qui la regola, non scritta, è molto semplice: trovo le informazioni che cerco perché qualcuno le ha messe a disposizione, in modo fruibile e quasi sempre gratuito. Come minimo, per ringraziare e rispettare la regola, rendo disponibile quello che ho. In questo modo il mondo diventa un po’ migliore. Non lo faccio perché sono gentile, come qualcuno potrebbe pensare. Lo faccio perché sento il dovere di farlo. Spirito di servizio, senso della civile convivenza.

Per questo trovo irritante, ogni volta che qualcuno mi chiede una consulenza e la ottiene, oppure usa in qualche modo il mio tempo e la mia disponibilità, sentirmi dire: “grazie, lei è molto gentile”. Come se la gentilezza fosse una qualità innata, che spinge chi ne è affetto a comportarsi in un certo modo, e fornisce un alibi a chi non vuole accettare le semplici regole: “lui è una persona molto gentile (io no)”. Se prelevo continuamente dalla cassa comune e non porto mai niente, sono una perdita per il sistema anche se ogni volta ringrazio gentilmente. Se metto a disposizione il poco che ho, ma che ho solo io, allora sono una ricchezza per il sistema. Per la legge dei grandi numeri, esisterà molto probabilmente nel mondo almeno una persona che ha bisogno esattamente del mio contributo, e sarà felice di trovarlo disponibile, e mi ringrazierà in modo diretto o indiretto, e non penserà che sono gentile, ma semplicemente che ho fatto quello che mi spettava fare. (Mister X)

 


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